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Non voglio non esiste!

  • Immagine del redattore: Mara- Sati Capitanelli
    Mara- Sati Capitanelli
  • 10 gen 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 14 apr 2020

“Non voglio non esiste!” : una mamma al parco si rivolge al proprio figlio così. Non conosco la motivazione per la quale questa mamma abbia deciso di mettere fine alla conversazione in questo modo, ma conosco le conseguenze che frasi di questo tipo possono generare sulla percezione che un bambino ha di se stesso. Il messaggio che sto comunicando è: "quello che tu dici, per me, non conta nulla", ergo, "tu non conti nulla per me". Con il passare degli anni la mia esperienza mi ha portato a poter verificare (anche sulla mia pelle) quanto le esperienze vissute nei primissimi anni di vita condizionino qualsiasi relazione avremo da adulti (lavorativa, amicale, amorosa).

Ho visto quanto spesso il bisogno di affiliazione/attaccamento non soddisfatto nella maniera adeguata in tenera età si tramuti in bisogno cieco di approvazione da parte di colleghi, titolari, partner.

Quanto l'impossibilità ripetuta di soddisfare il proprio bisogno di esplorazione/assertività da piccolissimi, si tramuti anche nell'incapacità da adulti di dire di no, nella paura di poter esprimere un parere divergente. Le modalità con le quali riusciamo, da bambini, a soddisfare i nostri bisogni motivazionali (cioè quelle forze propulsive che influenzano il comportamento umano) determinano il "copione interno" di ciascuno di noi, determinano come ci relazioneremo al mondo per il resto della vita. Questo bambino al parco sta seguendo il suo istinto di crescita.

Quando dice “non voglio” sta affermando la propria identità. Se ogni volta che cercherà di dire la sua, la risposta che riceverà sarà una disconferma, significa che ogni volta dovrà anche rinegoziare l'idea che i suoi genitori hanno di lui.

Ogni volta la sua individualità verrà annullata. Per un bambino di tre o quattro anni, che per natura dipende dalle sue figure di riferimento, questo è fonte di una enorme sofferenza psichica.

Negare ai bambini di poter dire la loro, di poter protestare, significa privarli delle risorse che hanno per poter rimanere fedeli a se stessi. Quando li rimproveriamo, quando li aggrediamo, quando li disconfermiamo, li stiamo amando in modo condizionato. I bambini hanno bisogno di essere amati per quello che sono. Rispettare il loro diritto di obiezione, significa, quando non si può o non si vuole acconsentire, accogliere la protesta.

Significa saper stare nelle nostra frustrazione, accanto a loro, con gentilezza.

Significa tenere conto della persona che abbiamo davanti. Non sempre è facile, a volte, anche se sappiamo cosa dovremmo fare, dentro di noi scatta qualcosa, ed ecco che ci comportiamo come se non avessimo più il controllo di noi stessi, come se dovessimo rispondere ad un'aggressione. Ci sono delle motivazioni per le quali a volte ci sentiamo ribollire dall'ira e non riusciamo a vivere serenamente i no che ci dicono i bambini.

Queste motivazioni risiedono nel mistero dell'infanzia che abbiamo vissuto, spesso sono celate alla nostra memoria e meritano di essere approfondite e comprese a pieno.

Cosa ci succede quando vorremmo dire di no ad un bambino, ma questo no esce assieme ad un vortice di rabbia, sguardi che raggelano, voci tuonanti, prese rigide su quei corpi incosapevoli?

Succede che il comportamento di quel bambino ha toccato un nostro nervo scoperto, e noi ignari di ciò, diamo la colpa della nostra reazione esagerata... a lui.

Incontrare Alice Miller nel mio cammino di educatrice è stato come fare un salto quantico. Finalmente riuscivo a comprendere in modo logico quello che sentivo, ma che non mi sapevo spiegare.

E' lei quella splendida donna che ha dedicato tutta la sua vita a dare voce all'infanzia, a sostenere quanto nei primi anni di vita i genitori si giochino la limpidezza psichica dei loro figli.

Adesso le neuroscienze confermano queste informazioni, anzi, aggiungono che già nella gestazione e nel perinatale le esperienze e le emozioni vissute dalla madre influenzano lo sviluppo dell'intelligenza emotiva del feto, la costruzione della resilienza al trauma.

Il tipo di informazioni che il feto prima, il neonato ed il bambino dopo, raccoglie, costituirà lo schema comportamentale/caratteriale che si fisserà nel cervello ancora in evoluzione. Questo farà si che ogni volta che si presenterà una situazione analoga a quella che aveva suscitato una certa risposta, la risposta sarà sempre la medesima.

Questi schemi sono assai difficili da scardinare perchè la maggior parte degli adulti non ne ha memoria.

Questo significa ad esempio che se ogni volta che da neonato piangevo mia mamma ignorava o distraeva il mio pianto, io ad un certo punto smettevo di piangere perchè avevo registrato che ad una richiesta d'aiuto la mamma (il mondo) non risponde.

E significa che ogni volta che avrò bisogno d'aiuto da adulto, farò una grande grande fatica a chiederlo agli altri.

Ancor di più significa che ogni volta che sentirò un bambino piangere, protestare, ad esempio un figlio o un alunno, non saprò rispondere nel modo corretto: potrei andare in ansia e voler far smettere subito quel pianto distraendo, ignorando o intimando di smettere.

Se da bambino sono stato costretto a reprimere il mio pianto, a comportarmi da bravo bambino per far contenti i miei genitori, a rinunciare a quelle parti di me che più faticavano ad accettare, allora da adulto, ogni volta che mi ritroverò davanti un bambino che esternerà a gran voce i suoi bisogni, proprio in quel modo che a me non era permesso, tutta quella rabbia che avevo ingoiato quando ero indifeso, erutterà dal mio corpo.

Riverserò tutto sul nuovo indifeso, avviando una coazione a ripetere infinita.

Infinita perchè quel senso di ingiustizia, di ribellione, di frustrazione, smetterà di straripare alla minima difficoltà solo quando verrà riportato alla nostra vista, e riportarlo alla vista significa accettare di soffrire di nuovo, ammettendo il dolore provato durante l'infanzia.

Facciamo tanta fatica a rimanere calmi, centrati (che non significa rigidi, controllati o repressi) perchè ogni volta che ci troviamo di fronte ad un comportamento di un bambino che consideriamo inaccettabile, la tentazione di ripetere su qualcun altro ciò che abbiamo subito, diventa fortissima.

Alice Miller sosteneva che solo elaborando il lutto di come abbiamo vissuto la nostra infanzia possiamo liberarci dalla coazione a ripetere. Emily Mignanelli, pedagogista, co-fonadatrice di "Corallo centro di pedagogia dinamica e sistemica" sostiene che il primo passo da compiere per diventare adulti e cioè genitori di se stessi, sia raccontare ai propri genitori ciò che si è vissuto durante l'infanzia, senza rancori o colpevolizzazioni, semplicemente spiegando come ci si è sentiti. Restituendo il racconto al mittente non sentiremo più il bisogno di riversarlo su chi di volta in volta ci troviamo davanti.



Riferimenti bibliografici:

Kets de Vries M. "L'organizzazione irrazionale"

Miller A. "Il dramma del bambino dotato e del falso se"

Miller A. "Il bambino inascoltato"

Miller A. "La persecuzione del bambino"

Poli E. F. "le emozioni che curano"

https://www.facebook.com/corallolilliput/






 
 
 

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