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Piccola storia di due nascite

Brillavamo della stessa luce, quel pomeriggio.

Onde sempre più intense ci facevano oscillare tra magia e realtà. Non sentivo il dolore, era qualcosa di più forte, inebriante. Come avevamo deciso il tuo papà ed io, appena prima della tua nascita, siamo partiti per l'ospedale. Lasciato il tepore di casa, di colpo sono scivolata nel freddo di dicembre, sapevo che sarebbe potuto succedere e un po' l'ho nascosto a me stessa, perché volevo essere forte, volevo che ce la facessimo. Un parto veloce, perfetto visto da fuori. Dentro invece sentivo forte la sensazione di non essere stata capita, sostenuta, vista realmente dalle persone che erano lì per aiutarmi. Anche se sono sicura che tutta la freddezza che ho percepito non sia stata l'unica causa delle antiche, profondamente mie, emozioni provate durante le ultime spinte. Ho avuto paura, non per te, lo sentivo che stavi bene, ma paura per me, paura di aprirmi a te, paura di non essere alla tua altezza, paura di morire. Il buio, come spesso, mi chiamava, così accogliente, ma tu, determinato, hai continuato a spingere. Il tuo modo di nascere dice molto di te, della tua ostinazione a volere un nido sicuro, che mi riporta, ogni volta, alla vita.

A me, che ancora ho le vertigini se mi allontano troppo dalla mia ferita.

Non sei venuto al mondo per guarirmi, lotterò per far sì che questo non diventi il tuo destino e che resti, semplicemente, una conseguenza della tua esistenza.

Piccola creatura magica, piena di vita, ti prego,


non smettere di costruire castelli e tane pieni di lucine,


di collegare fili elettrici ad eliche e batterie,


di costruire depositi per i tuoi tesori,


di preparare regali di natale per il gatto,


di fare salti e capriole sul letto.


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